Notizie sempre più gravi dalla Catalogna: raffica di arresti per i funzionari pubblici che hanno osato organizzare il referendum del primo ottobre, manifestazioni di protesta a Barcellona, Madrid e altre città spagnole, assedi alle caserme della Guardia Civil…. Mancano solo gli attacchi alle guardie di frontiera e il controllo dei gasdotti – che sfociando sulle coste catalane riscaldano le case di tutta la Spagna – per prefigurare le secessioni della Slovenia e della Croazia che diedero il via alla guerra in Jugoslavia. Guerra, quella, innescata dall’imperialismo tedesco, americano e italiano.
Si, ma, oggi, la secessione della Catalogna chi la vuole?
Intendiamoci, la Catalogna è una nazione reale con una lingua e una cultura propria, al pari della nazione basca e galiziana; non una pura astrazione geografica come la Padania. E sono certamente legittimi i suoi sentimenti di rivalsa contro uno stato dominato da una screditata dinastia reale e da un altrettanto screditato governo Rajoy. Ma, comunque, va detto che oggi la bandiera della secessione è sbandierata sopratutto da una famelica borghesia imprenditoriale che (al pari di quella veneta e lombarda, artefice degli imminenti referendum) vede – magari su impulso del solito Soros – nello sganciamento da uno stato in bancarotta e l’ingresso nell’Unione Europea la sua salvezza.
Che dire, quindi – oltre a salmodiare gli scritti di Gramsci sulle “identità regionali” e il federalismo – davanti alle recenti mobilitazioni in Italia di “solidarietà con la Catalogna” tenute da chi non ha speso nemmeno una parola sulla lotta delle popolazioni del Donbass? Amando gli articoli corti, preferisco farlo un’altra volta. Intanto date un’occhiata a questo ottimo articolo di Marco Santopadre e riflettete sulla citazione qui sotto. A presto.
Francesco Santoianni